Deve aver portato fortuna a Pervye na Lune (First on the moon, il titolo internazionale) essere presentato a Venezia 62 come primo film della sezione Orizzonti: è riuscito infatti a ottenere il Premio Orizzonti Doc. Evidentemente, in un panorama di sperimentazione come quello di Orizzonti, è stata particolarmente apprezzata l’idea di Fedortchenko, noto documentarista, di realizzare un finto documentario che è una satira contro la madre Russia: un pastiche ironico anzi, cosa ancor più importante, autoironico.
Il regista opera una particolare ricostruzione storica, partendo da un misterioso rinvenimento avvenuto tra le montagne del Cile: secondo le attonite fonti locali si tratterebbe di una “sfera di fuoco”, un meteorite, o secondo i media addirittura un ufo. Una troupe televisiva indaga sulla vicenda, e scopre, spulciando gli archivi di Mosca, alcuni incredibili filmati propagandistici che spiegherebbero il tutto. Questi testimoniano infatti del primo fallimentare tentativo sovietico di conquistare lo spazio e sbarcare sulla Luna, mostrando i tentativi di lanci con animali, la ricerca e la selezione dei cosmonauti e il loro duro addestramento per la missione spaziale segreta, compiuta molto prima di Gagarin, che culmina nell’atteso lancio. Il razzo con a bordo i cosmonauti però precipita tra le montagne del Cile, e da allora tutti gli sforzi del governo sono tesi a nascondere la disastrosa missione. Non si sa che fine abbiano fatto i sopravvissuti, tranne alcuni che il regista riesce a rintracciare e cui assegna il compito di aiutarlo a ricostruire la vicenda.
La storia è talmente surreale da diventare verosimile, e ci piace lasciarci trascinare in maniera straordinaria dal gioco e dall’inganno, del quale, in realtà, tanto consapevoli gli spettatori non sono, se all’uscita si chiedono quali siano le parti ricostruite e quali quelle reali. Così il regista, che si è divertito a mescolare con le tecniche del documentario classico autentico materiale d’archivio russo e scene ricostruite del passato in un bianco e nero adeguatamente sgranato e contrastato (mentre il presente è raffigurato a colori), raggiunge il suo scopo. Il messaggio insomma è: non è difficile ingannare l’occhio attraverso l’apparenza. È una riflessione sul potere della comunicazione e sulle manipolazioni che ne fanno parte, e che danno credibilità a qualunque cosa rendendo realistico l’assurdo. Indicativa la frase pronunciata da un archivista del kgb: “Tutto quello che c’è qui dentro, è avvenuto, almeno questo è certo”.
A disorientare lo spettatore con humour elegante, improbabili particolari come il fatto che tra i cosmonauti figurino un nano da circo, una bellissima ragazza che somiglia più a un attrice che a un’atleta e un operaio pluripremiato per il suo stacanovismo. Tra gli animali-cavia figurano invece un improbabile maialino imballato in uno scafandro-mignon e una scimmietta dallo sguardo dubbioso, entrambi desiderosi di emulare la cagnetta Laika.
Volendo, si possono rintracciare precursori di operazione del genere in Zelig (1983) di Woody Allen e in JFK di Oliver Stone (1991) nonché in altre operazioni recenti. Ma qui ciò che conta, oltre l’indubbia bravura tecnica, è l’operazione attraverso la quale, parodiando gli ideali retorici e trionfalistici della Russia, lo scherzo diventa amaro, per l’implicita riflessione sulle tante vite sfruttate a scopo propagandistico per poi buttarle via quando diventano superflue o scomode. Eppure, contemporaneamente, si avverte una vaga nostalgia per un passato sepolto, o forse il rammarico che le cose non siano andate differentemente, magari che non si sia realizzato davvero “il sogno della Repubblica Cosmica dei Soviet”. Ma la grande creatività e la rinnovata energia del popolo russo possono manifestarsi in altre forme, come questa per esempio.
Il regista opera una particolare ricostruzione storica, partendo da un misterioso rinvenimento avvenuto tra le montagne del Cile: secondo le attonite fonti locali si tratterebbe di una “sfera di fuoco”, un meteorite, o secondo i media addirittura un ufo. Una troupe televisiva indaga sulla vicenda, e scopre, spulciando gli archivi di Mosca, alcuni incredibili filmati propagandistici che spiegherebbero il tutto. Questi testimoniano infatti del primo fallimentare tentativo sovietico di conquistare lo spazio e sbarcare sulla Luna, mostrando i tentativi di lanci con animali, la ricerca e la selezione dei cosmonauti e il loro duro addestramento per la missione spaziale segreta, compiuta molto prima di Gagarin, che culmina nell’atteso lancio. Il razzo con a bordo i cosmonauti però precipita tra le montagne del Cile, e da allora tutti gli sforzi del governo sono tesi a nascondere la disastrosa missione. Non si sa che fine abbiano fatto i sopravvissuti, tranne alcuni che il regista riesce a rintracciare e cui assegna il compito di aiutarlo a ricostruire la vicenda.
La storia è talmente surreale da diventare verosimile, e ci piace lasciarci trascinare in maniera straordinaria dal gioco e dall’inganno, del quale, in realtà, tanto consapevoli gli spettatori non sono, se all’uscita si chiedono quali siano le parti ricostruite e quali quelle reali. Così il regista, che si è divertito a mescolare con le tecniche del documentario classico autentico materiale d’archivio russo e scene ricostruite del passato in un bianco e nero adeguatamente sgranato e contrastato (mentre il presente è raffigurato a colori), raggiunge il suo scopo. Il messaggio insomma è: non è difficile ingannare l’occhio attraverso l’apparenza. È una riflessione sul potere della comunicazione e sulle manipolazioni che ne fanno parte, e che danno credibilità a qualunque cosa rendendo realistico l’assurdo. Indicativa la frase pronunciata da un archivista del kgb: “Tutto quello che c’è qui dentro, è avvenuto, almeno questo è certo”.
A disorientare lo spettatore con humour elegante, improbabili particolari come il fatto che tra i cosmonauti figurino un nano da circo, una bellissima ragazza che somiglia più a un attrice che a un’atleta e un operaio pluripremiato per il suo stacanovismo. Tra gli animali-cavia figurano invece un improbabile maialino imballato in uno scafandro-mignon e una scimmietta dallo sguardo dubbioso, entrambi desiderosi di emulare la cagnetta Laika.
Volendo, si possono rintracciare precursori di operazione del genere in Zelig (1983) di Woody Allen e in JFK di Oliver Stone (1991) nonché in altre operazioni recenti. Ma qui ciò che conta, oltre l’indubbia bravura tecnica, è l’operazione attraverso la quale, parodiando gli ideali retorici e trionfalistici della Russia, lo scherzo diventa amaro, per l’implicita riflessione sulle tante vite sfruttate a scopo propagandistico per poi buttarle via quando diventano superflue o scomode. Eppure, contemporaneamente, si avverte una vaga nostalgia per un passato sepolto, o forse il rammarico che le cose non siano andate differentemente, magari che non si sia realizzato davvero “il sogno della Repubblica Cosmica dei Soviet”. Ma la grande creatività e la rinnovata energia del popolo russo possono manifestarsi in altre forme, come questa per esempio.
da Frame on line
Anno:2005
Regia: Aleksey Fedortchenko
Sceneggiatura: Aleksey Fedortchenko, Ramil Yamaleev
Produzione: Studio DEYA-TORIS
Fotografia: Anatoly Lesnikov
Montaggio: Ludmilla Zalogneva
Cast: Boris Vlasov, Victoria Ilynskaya, Andrei Osipov
Durata: 75’
Nazione: Russia
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