mercoledì 21 novembre 2007

R/F - MANUFACTURING DISSENT contro Micheal Moore



Sono decine i filmmaker che hanno dato contro con altretanti film al corpulento regista Michael Moore, autore di film come Farehnight 9/11 o Bowling a Columbine. Che i suoi metodi, fosse poco ordodosso, apertamente schierato e di parte questo è ovvio, ma tutta questa polemica non fa altro che gettare benzina sul fuoco nella questione tra realtà e manipolazione nel documentario.

Il film Manufacturing Dissent, come leggiamo su Repubblica, sarà presentato al Festival del cinema di Torino di Nanni Moretti. Intanto abbiamo trovato in rete il trailer e un'intervista di registi (messa in onda su Fox News, canale notoriamente non proprio obiettivo nella cronaca dei fatti).

Il documentario si chiama «Manufacturing Dissent»: è stato presentato a Austin, in Texas, lo scorso marzo, e ora arriva in prima europea a Torino. Gli autori, Debbie Melnyk e Rick Caine, sono due liberal canadesi che si dichiarano fan (pentiti, naturalmente) dello stesso Moore. Il progetto di Debbie e Rick, almeno all'inizio, è di girare una sorta di dietro le quinte del loro eroe.
Intervistarlo si rivela però un'impresa impossibile. Gli scrivono, gli telefonano, lo incontrano in più occasioni: niente da fare, Michael è sempre impegnatissimo. Sorride amabilmente in camera e sguscia via. I due non demordono e, proprio come farebbe lui, lo inseguono senza tregua. È il periodo dell'uscita di «Fahrenheit 9/11» e del «tour elettorale» con cui il premio Oscar cerca di convincere i connazionali a cacciare George junior dalla Casa Bianca. Il sospetto che Moore non sia proprio entusiasta all'idea di un film su di lui diventa certezza quando ai canadesi viene maldestramente impedito di registrare un suo «comizio» o quando Anne, la sorella del regista, scalcia la loro telecamera prima di sbatterli fuori da un dibattito alla Kent State University.
Il peggio, però, deve ancora venire. «Manufacturing Dissent» punta infatti a mettere in questione l'onestà di Moore, che costruirebbe le sue crociate grazie a un uso disinvolto dei fatti. Non solo quelli degli altri, pure i suoi. È vero che fu licenziato da «Mother Jones» — il magazine di sinistra in cui il cineasta lavorava prima di diventare una star — perché in disaccordo sulla linea politica? Macché. Venne cacciato in quanto poco professionale, inaffidabile e incapace di lavorare in gruppo, assicurano alcuni ex colleghi.

In «Bowling for Columbine» Moore vuole dimostrare che in Canada si vive più sicuri perché, a differenza degli Stati Uniti, non si possono comprare armi con la facilità con cui ci si procura una canna da pesca. Eccolo allora entrare nei giardini delle case e girare le maniglie delle porte. Oplà, si aprono tutte quante. Falso, mette in guardia il documentario: in realtà almeno il 60% erano ben sprangate. Ancora: in «Fahrenheit» si vede un Bush compiaciuto di fronte a una platea che saluta come gli «haves and have-mores » — ricchi e ancor più ricchi —, una «dimostrazione» che gli americani medi non sarebbero in cima alle sue preoccupazioni. Solo un colpo basso: il contesto era quello dell'Al Smith Memorial Dinner, serata di beneficenza tradizionalmente informale e scherzosa, tant'è che in una precedente occasione Al Gore si era presentato allo stesso uditorio come «l'inventore di internet».

Poi arriva il pezzo forte, lo scoop. Vi ricordate «Roger and Me» dove Moore cerca inutilmente di incontrare Roger Smith, il presidente della General Motors che ha dismesso una fabbrica a Flint, nel Michigan, lasciando senza lavoro centinaia di operai? Beh, quel faccia a faccia c'è stato, sostiene un ex amico del regista. Esisterebbe persino il filmato dell'intervista, poi occultato ad arte in fase di montaggio. I Repubblicani gongolano. E Moore? Continua imperterrito ad ignorare i due canadesi. Ma a proposito della storia sulle sue frequentazioni con Mr. General Motors, sbotta: è vero, ammette, ha parlato una volta con Smith irrompendo ad un incontro con gli azionisti, ma accadde mesi prima che iniziasse a girare il documentario. Quanto al filmato, semplicemente non esiste, «altrimenti, per smentire il film, la General Motors sarebbe stata la prima a renderlo pubblico». Difficile, in questo caso, dare torto a Moore. Come è difficile negare il calvario degli operai del Michigan, lo stile da Far West con cui circolano le armi in America o che a rischiare la pelle in Iraq ci siano soprattutto i figli della classe operaia. Però, certo, Melnyk e Caine hanno ragione: durante quella cena Bush stava proprio scherzando.

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