Matteo Gatti è un reporter d’assalto a cui da poco è morto il figlio adolescente a causa di una pastiglia di ecstasy. In bilico tra la fuga dalla realtà domestica e la necessità di trovare delle risposte al suo dramma, Matteo parte alla volta di Milano per un servizio sulle nuove droghe che imperversano tra i giovani italiani. Grazie a un accordo con la questura di Milano, la telecamera di Matteo segue a stretto contatto una pattuglia antidroga della Squadra Mobile, scendendo per le strade del capoluogo milanese alla caccia di chi immette nel mercato gli stupefacenti. Un’esperienza estrema per Matteo ma che lo aiuterà a capire i suoi errori di uomo e di padre.
Sbirri è una curiosa commistione tra un film di fiction e un documentario in cui entrambe le due categorie tendono a fondersi e confondersi. Lo spunto per questo film è nato dal documentario Cocaina, mandato in onda sa Rai 3, in cui il regista Roberto Burchielli (seguendo un pò lo stile dei reality americani come Cops) scendeva in strada con i poliziotti in borghese della Squadra Antidroga di Milano nel (vano) tentativo di combattere lo spaccio tra i giovani. Raoul Bova, tra un film di Moccia e un Alien a Hollywood, si è appassionato al progetto e ha accettato di farne parte realizzando una versione cinematografica interpretando il ruolo di un giornalista d’assalto che decide di combattere i suoi fantasmi scendendo per le strade armato della sua telecamera.
Nel film di Burchielli, c’è una profonda volontà di mettere in scena quello che accade realmente, tutti i giorni, per le strade di Milano (come in quelle di molte altre città). Giovani che si rovinano la vita per lo sballo di una notte, sbandati che cercano un guadagno facile spacciando pasticche e dosi per un trip. L’inconsapevolezza è il peggiore dei mali, l’assurda distanza che può separare un adolescente dalla propria famiglia nonostante si viva tutti sotto lo stesso tetto. Così accade a Matteo Gatti, caduto in disgrazia quando il figlio in gita a Milano muore a causa di una pasticca di ecstasy. Il mondo gli crolla addosso. La sua scelta di buttarsi nel lavoro è una forma di fuga dalla realtà per scoprirne una ancora più drammatica. La storia di un genitore raccontata attraverso la fiction che diventa la storia di tutti quei genitori che vivono nell’inconsapevolezza, nell’incomunicabilità e nella completa non conoscenza di quei giovani individui a cui hanno donato la vita e che rischiano di perderla in modo così stupido.
Il messaggio contro la droga appare deciso e immediato, ma sono le parole di Angelo (l’uomo a capo della Squadra Mobile) a colpire maggiormente. Nel momento drammatico di un arresto, Angelo si rapporta con i giovani spacciatori come una figura paterna non accettando le futili giustificazioni addotte. Angelo vive la guerra contro la droga giorno e notte per 1300 euro al mese, il suo non è un lavoro ma una missione che purtroppo non potrà mai essere conclusa definitivamente, ma in questo modo Angelo sa di fare qualcosa di buono per una generazione che rischia di perdersi definitivamente.
Sbirri è un connubio di tecnologie diverse, riprese fatte con telecamere nascoste, con teleobiettivi capaci di filmare una persona da oltre due chilometri di distanza ma che ha richiesto estenuanti appostamenti e un forte autocontrollo di Bova che ha vissuto con la Squadra Mobile per quasi un mese. Oltre 170 le ore di girato che sono state montate con un lavoro complesso ma che ha dato vita a un film coinvolgente ma vero come un documentario. Peccato solo aver esasperato i toni con musiche eccessive e ralenti che appesantiscono la prima parte.
Da Cineblog.it
Sbirri è una curiosa commistione tra un film di fiction e un documentario in cui entrambe le due categorie tendono a fondersi e confondersi. Lo spunto per questo film è nato dal documentario Cocaina, mandato in onda sa Rai 3, in cui il regista Roberto Burchielli (seguendo un pò lo stile dei reality americani come Cops) scendeva in strada con i poliziotti in borghese della Squadra Antidroga di Milano nel (vano) tentativo di combattere lo spaccio tra i giovani. Raoul Bova, tra un film di Moccia e un Alien a Hollywood, si è appassionato al progetto e ha accettato di farne parte realizzando una versione cinematografica interpretando il ruolo di un giornalista d’assalto che decide di combattere i suoi fantasmi scendendo per le strade armato della sua telecamera.
Nel film di Burchielli, c’è una profonda volontà di mettere in scena quello che accade realmente, tutti i giorni, per le strade di Milano (come in quelle di molte altre città). Giovani che si rovinano la vita per lo sballo di una notte, sbandati che cercano un guadagno facile spacciando pasticche e dosi per un trip. L’inconsapevolezza è il peggiore dei mali, l’assurda distanza che può separare un adolescente dalla propria famiglia nonostante si viva tutti sotto lo stesso tetto. Così accade a Matteo Gatti, caduto in disgrazia quando il figlio in gita a Milano muore a causa di una pasticca di ecstasy. Il mondo gli crolla addosso. La sua scelta di buttarsi nel lavoro è una forma di fuga dalla realtà per scoprirne una ancora più drammatica. La storia di un genitore raccontata attraverso la fiction che diventa la storia di tutti quei genitori che vivono nell’inconsapevolezza, nell’incomunicabilità e nella completa non conoscenza di quei giovani individui a cui hanno donato la vita e che rischiano di perderla in modo così stupido.
Il messaggio contro la droga appare deciso e immediato, ma sono le parole di Angelo (l’uomo a capo della Squadra Mobile) a colpire maggiormente. Nel momento drammatico di un arresto, Angelo si rapporta con i giovani spacciatori come una figura paterna non accettando le futili giustificazioni addotte. Angelo vive la guerra contro la droga giorno e notte per 1300 euro al mese, il suo non è un lavoro ma una missione che purtroppo non potrà mai essere conclusa definitivamente, ma in questo modo Angelo sa di fare qualcosa di buono per una generazione che rischia di perdersi definitivamente.
Sbirri è un connubio di tecnologie diverse, riprese fatte con telecamere nascoste, con teleobiettivi capaci di filmare una persona da oltre due chilometri di distanza ma che ha richiesto estenuanti appostamenti e un forte autocontrollo di Bova che ha vissuto con la Squadra Mobile per quasi un mese. Oltre 170 le ore di girato che sono state montate con un lavoro complesso ma che ha dato vita a un film coinvolgente ma vero come un documentario. Peccato solo aver esasperato i toni con musiche eccessive e ralenti che appesantiscono la prima parte.
Da Cineblog.it
1 commento:
mi è piaciuta la tua recensione, mi sembra molto ben scritta (anche se non condivido alcuni giudizi sul film). anch'io l'ho recensito, e ho riflettuto anche sul fatto che se questo è il posto che occupa il documentario nel mercato italiano, ci perdiamo un bel po' di cose...
se ti va, trovi qui il mio post:
http://indimente.blogspot.com/2009/04/sbirri.html
valerio
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