I falsi-documentari sono testi di fiction che per precisa scelta dei loro autori vengonoo truiti in bilico sull’ambiguità tra realtà e finzione. Sono film che si appropriano dell’estetica del genere documentario modificandone i significati. Sebbene come genere nasca proprio a partire da un’ambiguità strutturale, lo scopo comunicativo del falso-documentario non è però necessariamente quello di far credere vero allo spettatore ciò che
viene mostrato dalle immagini. Se l’utilizzo della falsificazione nei primi film documentari era, in accordo con le tesi di Eric Barnouw[1], un mezzo per procurare maggiori emozioni e autenticità nei confronti delle immagini filmate, l’idea fondamentale di questa tecnica era che, se il pubblico avesse potuto vedere la ri-creazione di un evento, avrebbe più facilmente creduto che esso fosse realmente accaduto; alla base del falso-documentario vi è un concetto simile: il pubblico venendo a contatto con un argomento presentato sotto forma di documentario, sarà più propenso a credervi. La differenza fondamentale risiede nella distinzione riscontrabile tra l’abbellimento di un fatto realmente accaduto e l’intelligente dissimulazione di una bugia.Il falso-documentario non pretende esclusivamente di far credere vero qualcosa di palesemente falso, aumentandone la credibilità, ma, soprattutto cerca di stimolare il pubblico ad interrogarsi a proposito del tema trattato e del linguaggio documentario stesso.
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I mockumentary sono infatti prodotti per sembrare i più reali possibile, ma solo in parte per ingannare il pubblico, soprattutto per invitarlo al confronto riguardo l’origine semantica delle immagini che sta vedendo. Il vantaggio concettuale che il falso-documentario ha nei confronti del documentario classico è la sua capacità di sfidare gli assunti tradizionali senza realmente soccombere ad essi. Un mockumentary, rappresentando alcuni elementi che non appartengono al mondo reale, incoraggia il pubblico a chiedersi quali fra questi elementi sarebbero normalmente necessari per garantire l’autenticità dei film, stimolando infatti l’abilità degli spettatori nel separare la realtà e la finzione, presentandosi loro come un film che potrebbe essere sia vero che falso. I falso-documentari usano il linguaggio del documentario proprio per sovvertirne i loro metodi di realizzazione e di fruizione. Le convenzioni comuni vengono così manipolate non limitandosi alla semplice burla del pubblico, nel tentativo di fargli credere vero ciò che in realtà non è; in effetti i falsi-documentari invece vogliono sollevare diverse questioni a proposito delle strategie testuali che rendono la fiction credibile, di come il linguaggio documentario può essere utilizzato per rivoluzionare la forma del genere, di quanto sia importante che le immagini siano credibili e quindi reputabili autentiche e di cosa differenzia i falsi-documentari dai veri documentari.
Prendendo come modello il linguaggio del cinema documentario generale, il falso-documentario ne rielabora le convenzioni in “un finto genere di non-fiction”, creando un genere che dichiara di dire la verità quando, di fatto, esso mente utilizzando a sua volta nuove convenzioni, più intricate e ingannevoli. Adottando e modificando le convenzioni del documentario, il mockumentary ne sviluppa autonomamente una propria serie, alle quali costantemente si aggiungono dimensioni teoriche e tecniche; come accade per il documentario, anche le forme del falso non cessano mai di essere riformulate. Il falso-documentario è, allo stesso tempo, meno di un documentario, più di un documentario, ma in sostanza, non un documentario. Evidentemente il documentario potrebbe essere identificato come ogni film capace di suscitare la domanda “Potrebbe essere menzognero?”. Quando il discorso ruota sui falsi documentari, la questione deve essere infatti invertita “Potrebbe essere successo realmente?”. Il falso documentario non si limita ad acquisire le forme e le strategie comunicative del documentario, operando una simulazione del linguaggio che appartiene alla sfera della rappresentazione del reale. Le tecniche del documentario vengono infatti decostruite, analizzate nei loro funzionamenti e rielaborate per veicolare nuove forme di significato. Il processo sinteticamente descritto può essere definito come una sovversione del linguaggio, dove per sovversione viene inteso l’obiettivo di rovesciare l’ordine tradizionale, associandolo all’idea di capovolgimento dei valori fondamentali. In questo caso i valori su cui si poggia il sistema del documentario sono ulteriormente legati alla contrapposizione tra realtà e finzione, tra rappresentazione e mondo fenomenico. I falsi-documentari affrontano queste dicotomie con un fare rivoluzionario nei confronti delle forme tradizionali, in un rapporto conflittuale che però rivela un legame profondo, quasi una riverenza assoluta, nei confronti del documentario stesso. Il mockumentary ricerca con ogni metodo di scardinare le regole del documentario ma, allo stesso momento, compie un preciso lavoro che permette di rendere più forte la consapevolezza nei confronti del documentario sia da chi li produce e da chi li fruisce. La simulazione, nel caso del falso-documentario, è una forma di corruzione del reale, del documentario in particolare, poiché in ogni sua manifestazione rinvia ad un universo inesistente, ma che all’aspetto risulta verosimile, proprio grazie alle forme linguistiche canoniche che utilizza.
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Dopotutto, come è vero che la realtà supera spesso la finzione, anche la finzione può essere più vera della realtà.
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[1] Barnouw, Erik, Documentary: A History of the Non-Fiction Film, 2a ed., New York, Oxford University Press, 1993, pag. 24[2] in Zelig, regia di Woody Allen, Usa 1983[3] www.citizenfortruht.org ; www.nothingsostrange.com
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[1] Barnouw, Erik, Documentary: A History of the Non-Fiction Film, 2a ed., New York, Oxford University Press, 1993, pag. 24[2] in Zelig, regia di Woody Allen, Usa 1983[3] www.citizenfortruht.org ; www.nothingsostrange.com
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