venerdì 16 marzo 2007

Intervista - GABRIEL RANGE PARLA DI DEATH OF A PRESIDENT

Il 19 ottobre di quest’anno George W. Bush sarà ucciso nell’Hotel Sheraton di Chicago, da due proiettili di fucile esplosi da uno sconosciuto, appostato nell’edificio di fronte all’Hotel. E’ questo l’inquietante scenario ipotizzato dall’inglese Gabriel Range, regista, sceneggiatore e produttore del film Death of a president, che uscirà nelle sale italiane il 16 marzo in 40 copie.

Thriller
"Il mio non è un documentario, io lo definirei un thriller raccontato con lo stile del documentario", ha precisato Range nel corso della conferenza stampa seguita alla proiezione del film. "Non è un film hollywoodiano e non abbiamo potuto avvalerci delle grandi folle stile Hollywood, abbiamo usato molte immagini di repertorio, mixandole con le scene che abbiamo girato noi. Nel corso di una manifestazione avvenuta nell’anniversario della guerra contro l’Iraq, abbiamo chiesto ai manifestanti di girare per noi. Molti di loro hanno aderito, così abbiamo potuto girare l’importante scena della protesta contro Bush: il risultato è stato lusinghiero".

Il presidente scomodo
Non ritiene che il fatto che Bush sia un presidente scomodo ha reso più facile il progetto del film?
"Credo di sì, il progetto è stato facilitato. Di certo non avrei fatto il film se si fosse trattato di un presidente popolare. E non avrei potuto fare il film se Bush avesse saputo cogliere quel momento di unità nazionale seguito alla tragedia dell’11 settembre. Posso dire che l'assassinio e l'inchiesta sono cornici usate per raccontare cose realmente successe dopo l'11 settembre. Molti dettagli sono stati presi da fatti realmente accaduti negli Stati Uniti. Avrei potuto fare un documentario basandomi su questi fatti, ma la gente si sarebbe annoiata. Ogni volta che si verificava un avvenimento con la responsabilità presunta di arabi, allora l'amministrazione americana lo sfruttava per diffondere la paura nella popolazione. Lo faceva per perseguire i propri fini politici".

Bush ha visto il film?
"Non so se Bush abbia visto il film. Io vorrei vedere il film che parla del mio assassinio, ma non credo che lui l’abbia fatto".

Il presidente è sacro
Il film è uscito in U.S.A.?
"Sì, è uscito in 90 copie a fine ottobre 2006. Ha avuto il maggior successo nelle grandi città quali New York e Los Angeles. Nel momento in cui ho cominciato a scrivere la sceneggiatura sapevo molto bene che il mercato americano sarebbe stato difficile, perché gli americani hanno una visione sacrale dell’istituzione presidenziale. E’ stato difficile presentare questo film al pubblico americano, ma non ho avuto alcun tipo di problema personale, né di restrizione della libertà. Posso dire, comunque, che un film di questo tipo non potrebbe essere fatto da americani, con finanziamenti americani".

Le critiche di Hillary
Si aspettava le dure critiche dei democratici e quelle personali di Hillay Clinton?
"Hillary Clinton ha detto che il mio film era disgustoso e disprezzabile, ma senza averlo visto. Altri hanno detto che incitava alla violenza, ma prima dell’uscita del film. Devo dire che le reazioni sono cambiate quando la gente ha cominciato a vederlo. Devo sottolineare che non ho niente di personale contro Bush e questo film non è un attacco a Bush. Non approvo quel che ha fatto in politica, ma neanche il suo eventuale assassinio, che non è comunque il punto cruciale del film. Se pensiamo in prospettiva, allora l'avvento di Cheney costituirebbe un male peggiore dell’attuale…"

In Europa
Come è stato accolto il film in Europa?
"Il pubblico non americano riesce a vedere questo film con maggiore distacco. In Irlanda e in Inghilterra hanno anche riso ai discorsi della segretaria personale di Bush, hanno saputo cogliere l’ironia nell’estrema serietà del personaggio. Ho visto il film anche con il pubblico arabo. E’ stato scritto che gli arabi hanno esultato alla scena dell’assassinio. Niente di più falso, io c’ero e posso assicurare che nessuno ha esultato".

Che cosa pensa che farà Bush il 19 ottobre di quest’anno?
"Non so che cosa farà, ma sicuramente non andrà a Chicago…"

Pubblicato su Repubblica

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