martedì 18 settembre 2007

Recensione - Le ragioni dell'aragosta di Sabina Guzzanti

I pescatori di aragoste di Su Pallusu, in Sardegna, sono in crisi. Il governo non sostiene la loro attività e rischiano di non poter più avere niente da pescare. Cosa fare? Chiedono a Sabina Guzzanti di aiutarli dando loro visibilità tramite uno spettacolo comico. Lei risponde all'appello coinvolgendo la vecchia banda di Avanzi: Cinzia Leone, Francesca Reggiani, Antonello Fassari, Stefano Masciarelli e soprattutto Pier Francesco Loche. Ma che senso ha lottare per le aragoste? Possono i comici fare quello che dovrebbe fare la politica? E cosa c'entra la Fiat?

Alzi la mano chi restava a casa il venerdì sera a guardare Avanzi. Ecco, questo è il film per voi. Tutti gli altri, prego, si accomodino. Ecco qual'è il difetto dell'ultimo film di Sabina Guzzanti: non è un film per tutti.
Non si tratta nemmeno di un film solo per i vecchi fan dell'irripetibile trasmissione comica che su RaiTre spopolava negli anni pre e durante tangentopoli. Le ragioni dell'aragosta è invece una riflessione allo specchio sul ruolo del comico, allora e oggi, sul cambiamento della politica, sugli stravolgimenti dei ruoli istituzionali e, soprattutto, sulla perdita di significato del concetto di cominità, dello stare insieme.
Difficile però cogliere questi temi se non si parte dalle stesse basi comuni di Sabina e dei suoi amici ritrovati. Se non si sono vissuti quegli anni, se non si è amata quella trasmissione è praticamente impossibile partecipare alla carica emotiva del film. Un problema già emerso con Viva Zapatero! (id., 2006), film nato da comprensibili esigenze, ma non del tutto riuscito proprio per la mancanza di un'approfondimento distaccato sulle ragioni di fondo che avevano spinto Sabina Guzzanti a realizzarlo. Come a dire: "non sto qui a spiegarvi il perchè sono arrabbiata. Il perchè è ovvio e se non lo capite allora siete stati lobotomizzati dal sistema e quindi è inutile".

Le ragioni dell'aragosta è decisamente un passo avanti, ma qui viene dato per scontato che Avanzi era un faro nella notte, un momento di gioia e di sollievo. In pratica se avete nostalgia di Pier Francesco Loche allora tutto fila per il verso giusto. Il percorso di nostalgia per i "bei tempi andati" legati da una parte dall'esperienza reale del pescatore ex sindacalista Gianni Usai e dall'altra per i buffoni alla corte di RaiTre funziona, appunto, ma solo se quella nostalgia la si prova davvero. Solo se rivedere il clown Cipollone lo sketch di Moana che fa educazione sessuale a Loche è emozionante. Poco importa scoprire alla fine che è tutto finto. Anzi, l'inesistenza dello spettacolo a favore delle arogoste di Su Pallusu rende l'operazione anche più coerente. Le inquadrature e le situazioni presentate infatti fanno intuire che si tratti di una messa in scena e se non si fosse trattato di un falso documentario, il film avrebbe lasciato nello spettatore un'indecifrabile sensazione di falsità. Paradossale come la falsità renda invece tutto più reale. Merito anche degli attori coinvolti che hanno lavorato su situazioni date (Sabina Guzzanti ha scritto una sceneggiatura, ma senza condividerla con il cast), improvvisando i propri dialoghi mettendo in gioco la propria esperienza reale. Un plauso soprattutto a Cinzia Leone che ha scelto personalmente, contro la volontà di Sabina, di raccontare le sue paure di attrice e di donna dopo l'ictus che la colpì oltre dieci anni fa, nel momento forse più toccante del film, ma anche il più morboso. Quella scena è attaccabile, ma solo se non si prova affetto per Cinzia Leone: chi l'ha amata nella sua imitazione della Dellera o della Mussolini, tanto da sentirla come una sorta di amica di famiglia, non potrà che emozionarsi. Ecco dunque che il difetto del film diventa anche il suo valore aggiunto, ma solo, appunto, per quelli per cui Avanzi rappresenta una "fetta di vita passata".
Sabina, all'inizio del film è di fronte allo specchio, si chiede coma ha fatto a farsi convincere a fare uno spettacolo di sensibilizzazione per i pescatori di aragoste di Su Pallusu: «Cosa c'entra un comico con la politica? Che mi frega delle arogoste? Quand'è che i comici hanno iniziato a fare politica e viceversa?». Alla fine del film l'inquadratura si allarga e ci accorgiamo che non è sola di fronte a quello specchio.
Pier Francesco Loche è con lei ed è lui che l'aiuta a ritrovare un senso, una motivazione nell'andare avanti anche perchè in fondo il brodo è quello e a volte è meglio mangiarlo. Nel mezzo c'è la voglia di fare qualcosa, di impegnarsi, di rimettere insieme i vecchi amici. Sabina descrive il suo percorso personale nel volersi impegnare per i pescatori, anche se in fondo quello che le interessa davvero è conoscere meglio Gianni Usai e la sua esperienza nel sindacato della Fiat alla fine degli anni Settanta. Un uomo che si era impegnato in prima persona quando la politica si faceva in fabbrica, quando si rischiava davvero il posto. Un uomo che c'era anche quando il sindacato tradì i lavoratori, che visse il momento in cui si perse la voglia di lavorare e combattere insieme, il momento in cui iniziò la decadenza. Almeno secondo Sabina.
Sara Sagrati da Hideout.it

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