About Fake (Falso), un documentario incompiuto di Françoise Reichenbach sul mondo dei falsari d’arte, acquistato da Orson Welles, diventa il pretesto per costruire un complesso affresco in cui viene intrecciata la vita di Elmyr de Hory, celebre contraffattore d’arte ungherese, e quella di Clifford Irvig, giornalista che sosteneva di aver la vera/falsa biografia di Howard Hughes, un misterioso e ipocondriaco miliardario americano.
Dopo lo sceneggiato radiofonico de La Guerra dei Mondi del 1938, Welles affronta nuovamente un progetto in cui realtà e finzione tendono a fondersi, fino a diventare indistinguibili l’una dall’altra. Il regista gioca a fare il prestigiatore, il ciarlatano, l’illusionista, manipolando le immagini e trasformando la realtà a suo piacimento, come fosse un’opera d’arte. Welles, nell’incipit del film, dichiara che “Tanto per cominciare, questo è un film che parla di raggiri, di frodi e anche di bugie”, anticipando così ogni giudizio da parte dello spettatore, ma aggiunge che “quasi tutte le storie celano più o meno qualche menzogna, ma non questa volta, è la mia promessa. Nella prossima ora ciò che ascolterete sarà verità vera, basata su fatti veri”. Tanto basterebbe per aprire una profonda riflessione sul significato di falsità e di verità, ma Welles non si limita questo. A breve nuovamente conferma attraverso l’uso di sovraimpressioni come il suo film sia basato su eventi realmente accaduti.
Dopo lo sceneggiato radiofonico de La Guerra dei Mondi del 1938, Welles affronta nuovamente un progetto in cui realtà e finzione tendono a fondersi, fino a diventare indistinguibili l’una dall’altra. Il regista gioca a fare il prestigiatore, il ciarlatano, l’illusionista, manipolando le immagini e trasformando la realtà a suo piacimento, come fosse un’opera d’arte. Welles, nell’incipit del film, dichiara che “Tanto per cominciare, questo è un film che parla di raggiri, di frodi e anche di bugie”, anticipando così ogni giudizio da parte dello spettatore, ma aggiunge che “quasi tutte le storie celano più o meno qualche menzogna, ma non questa volta, è la mia promessa. Nella prossima ora ciò che ascolterete sarà verità vera, basata su fatti veri”. Tanto basterebbe per aprire una profonda riflessione sul significato di falsità e di verità, ma Welles non si limita questo. A breve nuovamente conferma attraverso l’uso di sovraimpressioni come il suo film sia basato su eventi realmente accaduti.
F for Fake, titolo con cui è più noto il film, è qualcosa di diverso da un falso documentario, è in realtà un film-saggio in cui Orson Welles condensa gran parte della sua poetica artistica; una brillante e disillusa riflessione sul valore dell’arte, di cui il regista sembra voler sottolineare la sostanziale inutilità. Arte, quindi come illusione, manipolazione e ciarlataneria della quale anche Welles è succube e artefice. Non a caso egli appare spesso ripreso davanti ad una moviola cinematografica, strumento che per eccellenza crea la falsità del montaggio, capace di alterare le immagini, di romperne l’oggettività e quindi di falsarla. F for Fake nasce dal furto di un documentario, così come da un furto nascono i falsi di Elmyr, ogni elemento è frutto di una manipolazione di una forma originaria, così come la struttura stessa del film nasce dal “furto” del linguaggio del documentario.
Orson Welles, durante il film, dichiara che “La mia carriera è iniziata con un falso, l’invasione dei marziani. Avrei dovuto andare in prigione. Non devo lamentarmi: sono finito ad Hollywood!”, F for Fake potrebbe infatti essere considerata una sorta di autobiografia intellettuale attraverso cui il regista esprime la considerazione che egli provava nei confronti di se stesso, come uomo e come artista.
Il film che avrebbe dovuto intitolarsi Hoax (La beffa), poi Question Mark (Punto interrogativo), e assunse solo in seguito il nome definitivo, meriterebbe un trattazione assai più approfondita, che però trascende lo scopo di questa analisi. F for Fake è infatti un testo unico e fondamentale nella dialettica che contrappone realtà e finzione, è un saggio personale sulle interrelazioni tra arte, denaro e ciarlataneria, ma che rompe le promesse di Welles per sua ammissione esplicita.
Ripresi i panni del prestigiatore Welles, compie un’operazione che un vero illusionista non avrebbe mai osato, mettendo le carte sul tavolo e svelando ogni trucco delle sue magie, nel tentativo di rivelare il vero fine del suo film:
All’inizio di questo film io vi ho fatto una promessa, ricordate? Vi ho promesso che per un ora vi avrei detto la verità. Quell’ora è passata, negli ultimi diciassette minuti non ho fatto altro che mentire. La verità, e vi prego di perdonarci, è che abbiamo falsificato la vicenda artistica. Ovviamente come ciarlatano il mio compito è cercare di renderla reale, non che la realtà centri in qualche modo. Realtà è lo spazzolino da denti che vi attende a casa nel bicchiere. [...] Quella che noi, ciarlatani di professioni, cerchiamo di spacciare per verità, temo che la parola si un po’ pomposa, è l’arte. Lo stesso Picasso disse che l’arte è una menzogna che ci fa capire la verità.
Welles simula il linguaggio del documentario, come Elymr simulava i tratti della pittura dei grandi artisti del novecento, ma il suo film attua il processo di falsificazione ad un doppio livello, quello narrativo si somma quindi a quello linguistico. L’arte della contraffazione viene esaltata e sublimata attraverso il cinema, ma anche decostruita e analizzata in ogni suo frammento. F for Fake, in questo suo intendo, non può essere considerato un mock-documentario, in quanto viola la regola che richiede di mantenere costante il livello di credibilità della storia narrata, ma , pur essendone un anticipatore del genere, lo supera per il livello di approfondimento che raggiunge nel toccare gli argomenti legati al rapporto tra realtà e finzione. Proprio attraverso la rivelazione di aver trascorso diciassette minuti a raccontare menzogne, Welles dimostra al pubblico quanto possa essere facile falsificare una storia e, di conseguenza, cadere nella trappola di questa falsificazione. Welles chiede al pubblico che cosa sia l’arte, e risponde evidentemente che essa è una forma di magia, di illusionismo, forse un trucco, certo un insieme di verità e menzogna, di vero e di falso.
2 commenti:
Molto interessante quello che stai facendo. Un blog di nicchia, come il mio, ma ne vale la pena. Anch'uio sono un amante del genere!
E di Street Thiev che ne pensi?
ciao Drusia, ho visto Street Thief al Festival di Locarno di qualche anno fa e ne ho già parlato sul mio blog, un film interessate anche se non originalissimo di cui di è parlato forse più per il (presunto) arresto del regista che per i pregi estetici. Purtroppo non riesco a risalire al tuo blog, di che si tratta?
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